Perché

La Legge no. 166 del 2016 nasce grazie ad un approccio partecipativo dal basso e continua a dare i suoi frutti perché attiva la rete della solidarietà promuovendo un sistema strutturato e non episodico di recupero, valorizzando il ruolo delle donazioni, della responsabilità sociale d’impresa e di una cultura condivisa della sostenibilità ambientale, sociale ed economica.

 

Serviva davvero una legge?

 

Il recupero, il contrasto agli sprechi, e la donazione per solidarietà sociale delle eccedenze, con particolare riferimento ad alimenti e farmaci, sono da sempre parte integrante del nostro modello culturale e di welfare. Allo stesso tempo, l’approvazione di alcune specifiche normative ha consentito negli anni di rendere sempre più strutturale un sistema virtuoso, che per funzionare al meglio necessita della collaborazione tra profit, non profit ed istituzioni pubbliche. Pensiamo alla Legge no. 460 del 1997, alla no. 133 del 1999, alla no. 155 del 2003 (la c.d. legge del buon samaritano), e alla no. 147 del 2013.

 

La Legge no. 166 del 2016, con tutte le sue successive integrazioni, è parte integrante di questo percorso legislativo e riconosce molte buone pratiche che si sono consolidate nel nostro Paese. Rappresenta nei fatti la prima norma nel nostro ordinamento in materia di economia circolare coerente con gli obiettivi dell’Agenda 2030, coniugando l’impatto economico e ambientale con quello sociale.

 

La legge “antispreco” mette finalmente un punto fermo, definendo per la prima volta e in modo formale i termini di “spreco” ed “eccedenza”, e assegnando a quest’ultima un ruolo prioritario proprio perché può essere recuperata e può ritrovare nuovo valore nella “filiera della solidarietà”. Definire, consente anche di misurare in modo più oggettivo, e questo è fondamentale se vogliamo valutare l’impatto delle politiche e delle azioni messe in campo. La donazione di prodotti in eccedenza o inutilizzati è stata vissuta dalle imprese, fino all’entrata in vigore della legge, come una scelta costosa, costellata da oneri burocratici; oggi possiamo dire di esserci lasciati definitivamente alle spalle quel modello, perché abbiamo definito un quadro normativo chiaro ed estremamente semplificato rispetto al passato e premiale, in grado di coordinare disposizione civilistiche, fiscali, e igienico-sanitarie.

Oggi sappiamo con precisione “chi può fare che cosa, e con quale responsabilità”. Non pensiate sia una cosa da poco, perché l’incertezza è da sempre nemica dell’azione concreta. I risultati raggiunti in questi anni ci dicono che siamo sulla strada giusta, perché non sono solo aumentati i quantitativi sottratti allo spreco, ma anche la varietà dei beni raccolti, il numero e la tipologia di donatori nell’intera filiera economica, le nuove collaborazioni e i progetti territoriali che ne sono conseguiti.

Si sono aperte nuove prospettive su prodotti prima impensabili da recuperare come quelli sequestrati, le eccedenze delle navi da crociera, o di quelle provenienti dai grandi eventi sportivi solo per citare alcuni esempi. E riguarda un paniere molto ampio di beni oltre ad alimenti e farmaci, considerata l’esigenza di coniugare i bisogni delle persone in difficoltà con la generazione – spesso fisiologica – di eccedenze nel ciclo produttivo. La pandemia da Covid-19 ha evidenziato come l’accesso ad una alimentazione sana, varia e adeguata, alle cure, ai prodotti per l’igiene personale o della casa, all’abbigliamento, ai libri, ai pc per svolgere la didattica a distanza, solo per citare alcuni esempi, sono facce di una stessa medaglia che riguarda il benessere e la qualità del vivere delle famiglie.

 #iononsprecoperchè sprecare non ha senso, recuperare è un bene per tutti

 

Maria Chiara Gadda